La wilderness nella pittura americana dell’Ottocento

 

F. E. CHurch, Crepuscolo nelle terre selvagge, 1860, Cleveland Museum of Art

"Più sensibile è l'anima di chi contempla, più questi si abbandona all'estasi suscitata in lui da tale armonia della natura. Una fantasticheria dolce e profonda si impadronisce allora dei suoi sensi, ed egli si smarrisce, in uno stato di deliziosa ebbrezza, nell'immensità di questo bell'ordine, con cui si immedesima. Tutti i singoli oggetti gli sfuggono, ed egli non vede e non sente che i tutto. 

(J. J. Rousseau, Fantasticherie di un passeggiatore solitario, 1782)

In questa riflessione il filosofo svizzero illustra il proprio rapporto, intimo e creativo, con la Natura “naturale”: con un sentimento di partecipazione alla primigenia creazione, egli si sente parte di un tutto e si fa interprete della nascente sensibilità romantica. 

Nel XVIII e XIX secolo, in Europa come negli Stati Uniti, si assiste a un crescente interesse per la Natura incontaminata, che diventa uno dei temi più trattati e rappresentati nei diversi media: i dipinti e le stampe assecondano il gusto dei collezionisti d’arte; la letteratura periegetica e le guide turistiche assecondano la moda aristocratica dei tour.


La wilderness nella pittura americana dell’Ottocento


F.E. Church, North Lake, 1847

Nella seconda metà del Settecento anche nella cultura americana si diffondono i concetti del sublime e del pittoresco ispirati al pensiero di Edmund Burke (1729/1797) e trovano immediatamente una compiuta corrispondenza visiva nella natura selvaggia americana. In questo clima s’inserisce anche il pensiero del filosofo Ralph Waldo Emerson (1803/1882) che considera gli immensi panorami americani il luogo privilegiato in cui scorgere il Divino in terra. Nel suo saggio Nature (1836), Emerson teorizzava una visione religiosa della Natura, in cui l’impronta Divina era visibile in tutte le cose, dalle minime alle immense, anche se la rivelazione di questa trascendenza si manifestava solo all’uomo attento che sapeva immedesimarsi nell’osservazione.

In questo momento storico, l’America, uscita dalla Guerra di Secessione, trova un motivo d’identità nazionale nell’unicità della propria wilderness, che diventa oggetto di una nuova produzione artistica: cascate, montagne, foreste e deserti spettacolari offrono agli occhi dei pittori americani dell’Ottocento soggetti di impareggiabile bellezza.

F:E.Church, Autunno nelle Catslills, 1856

Con precisa intenzionalità i pittori esplorano, ripercorrendo le orme dei pionieri del Far West, molte parti dell’America alla ricerca di sempre nuovi squarci di natura incontaminata da ritrarre con la precisione del geografo, l’ansia della conoscenza del filosofo e la tensione spirituale del mistico.

Per questo gli artisti dello Stato di New York cominciano a scoprire le bellezze della valle del fiume Hudson, portando alla nascita della scuola dei pittori della Hudson River School, riconosciuta come uno dei movimenti culturali più importanti dell’Ottocento americano.

La consapevolezza dell’unicità del paesaggio americano risulta chiara al fondatore dell’Hudson River School, il paesaggista inglese Thomas Cole (1801/1848), che si era già formato secondo lo stile europeo dei canoni del pittoresco e del sublime. Per ritrarre una natura così peculiare come quella americana, Cole comprende che non si potevano riprendere gli schemi compositivi tradizionali, ma era necessario inventarne di nuovi. Ne risultano paesaggi di ampio respiro, che danno spazio agli aspetti selvaggi, spettacolari e indomabili dei fenomeni naturali.


F. E. Church, Niagara, 1857, NGA, Washington, DC


Alle cascate del Niagara va riconosciuto il primato del numero delle rappresentazioni pittoriche e il ruolo di immagine simbolo delle meraviglie naturali americane. Già attrazione turistica sin dagli inizi dell’Ottocento per la vastità del fronte d’acqua e la potenza del salto, le cascate del Niagara divennero molto più accessibili dalla città di New York con l’apertura della navigazione verso nord lungo il fiume Hudson.

Thomas Cole le considerava “la voce eloquente della natura”, e scriveva: 

“È il Niagara! Quella meraviglia del mondo – dove il sublime e il bello sono legati insieme in una catena indissolubile. … 

Nel loro volume concepiamo l’immensità; nel loro corso, la perpetua durata; nella loro impetuosità, il potere incontrollabile. Sono questi gli elementi della loro sublimità.”

Immersi nel rumore assordante dello scroscio d’acqua, con una sensazione di timore vibrante per lo spaventoso salto d’acqua e inebriati dalla meraviglia per la bellezza del luogo, i visitatori e i pittori, venivano colti dal quel senso di sublime smarrimento e si abbandonavano alla trascendenza descritta nell’opera di Waldo Emerson.

Al più talentuoso discepolo di Cole, Frederick Edwin Church (Hartford, 4 maggio 1826 – New York, 7 aprile 1900) spettano le più famose raffigurazioni delle cascate del Niagara. A partire dal 1848 le ritrae per vari decenni in più di trenta dipinti, diversi per punto di vista, angolazione e distanza dal fronte dell’acqua.

Le rappresentazioni di Church erano e sono tuttora apprezzate per l’accuratezza degli impetuosi e spumeggianti torrenti smeraldini delle cascate e per l’espediente di posizionare il punto di osservazione in una postazione proprio al di sopra del salto d’acqua. All’epoca si era diffusa l’infondata leggenda che Church, per trovare il punto perfetto da cui ritrarre l’intera cascata, incurante del pericolo, si fosse arrampicato su un albero nei pressi del salto e avesse dipinto il quadro in quella precaria postazione. Al contrario, la critica odierna ritiene molto più probabile che Church abbia dipinto il quadro in atelier basandosi, però, su una riproduzione fotografica, simile a una cartolina, che a quel tempo aveva avuto larga diffusione.

F.E.Church, Niagara lato americano


Questo post è una ripresa dell'articolo pubblicato sull'Aula di Lettere di Zanichelli

Gli ornamenti della natura nella pittura dell'Ottocento-:le diverse esperienze di Corot, Church e Segantini


Commenti