La lucida apparenza oltre lo specchio - Racconto d'arte

«Au revoir Monsieur».
E tra me e me penso 

«Vai pure…aria, bellimbusto!».
Poche mance stasera. Non vedo l'ora che finisca questo turno! Ormai non riesco più a sorridere e devo riparami dagli sguardi di Monsieur Michel, che si aggira nel locale sibilando tra i denti del sorriso ferino sotto i baffi: 

«Vi voglio sorridenti e ammiccanti, così i clienti bevono di più! E se io sono soddisfatto, voi non perdete il lavoro. Fuori dalla porta del Bar delle Folies-Bergère, lungo Rue Richer, ne trovo a dozzine di sciacquette più disponibili di voi!».
Dopo otto ore di lavoro, la migliore espressione che posso sfoggiare ora è quest’impassibile inespressività, dietro cui nascondere il dolore per i piedi gonfi e la nausea per l’aria viziata. 
Pazienza, gli avventori delle ore piccole dovranno accontentarsi. E se dovessero lamentarsi, provino lor signori a star qui! 
Adesso mi appoggio un po' al bancone e conto meccanicamente le bottiglie in bella mostra, come il mio droghiere, che accarezza con lo sguardo la sua mercanzia. A inizio serata ho disposto accuratamente le arance sull’alzata di cristallo e sistemato l’alto vaso di fiori. Ne ho rubati alcuni per mascherare la profondità della scollatura. Il vestito che usiamo come divisa -  nero a vita stretta, ornato con merletto - è fatto apposta per attirare gli sguardi dei clienti.
Lo squillo acuto di una risata, in fondo alla sala, fa spaziare il mio sguardo tra le piume dei cappellini e i collarini delle donne, tra i guanti e le marsine sudaticce degli uomini.
Tutto è lucida apparenza oltre lo specchio.

Qui i turisti che cercano la vita moderna, la trovano, eccome! Possono ammirare una varia umanità: mantenute a braccetto con i loro protettori, gigolò che aggiustano il bavero del cappotto alle loro attempate mesdame. Una folla che si diverte tra un bicchiere verde d’assenzio e l’aromatica scia di un sigaro. 
Da dietro questo bancone ho imparato a scorgere l’arrivismo, la bieca seduzione, i maneggi della politica di bassa lega, i tradimenti sfacciati e discreti di questo grande varietà che si mette in scena ogni sera. 
Si può rimanere ipnotizzati dallo scintillio tremolante dei lampadari che immensi ornano la sala di questo café. 
Vagando qua e là mi perdo nel vasto mare sfavillante di luci e di gente che si riflette nello specchio dietro alle mie spalle. Mi perdo a fantasticare e vorrei anch’io volteggiare sulle note di questa canzone, come Katarina, la trapezista che sta finendo il suo numero. Poi mi trafigge il pensiero che anche lei sta lavorando, e che... sarà stanca pure lei!
Ormai sono le tre del mattino. 

Tra un po' ultimerò il mio turno, andrò a casa e mi toglierò questi vestiti che odorano di fumo, di sudore caldo, di untuose bugie, di sconcezze e di poca gentilezza. M’immagino già nella mia stanzetta, davanti al fuoco, in camicia da notte, con in braccio la mia bambina. 
A questo pensiero la gioia fa capolino tra le labbra.
Si avvicina un ultimo cliente. 

Per fortuna è Monsieur Manet. Nascosta dietro l’aria da burbero c’è in lui una titubante gentilezza. 
Si è accostato al bancone, di lato e mi saluta.
«Bonsoir Suzon!»
Ordina il solito liquore mentre estrae in modo discreto il suo quadernetto, e comincia a far guizzare
l’occhio vispo come la matita per ricreare con tocco schietto l’atmosfera della festa.
Come me, Monsieur Manet vede tutto e annota i sotterfugi e gli intrallazzi esaltati di questa modernità vissuta al limite dell’eroismo. Stasera si sta concentrando sul quel gruppetto là, in cui scorgo alcuni suoi amici: il pittore Gaston Latouche e l’attrice Jeanne de Marsy, che si riconosce dai guanti giallo senape. Sembrano messi in posa. 

Tutti gli amici dei pittori devono esser rassegnati a comparire nei quadri, prima o poi!
D’un tratto mi piomba addosso tutta la stanchezza della serata, le palpebre si fanno pesanti e vorrei chiuderle come le serrande dei lattai al tramonto. Potrei crollare sul bancone, mandare in pezzi tutte le bottiglie, far rotolare le arance fino in fondo alla sala. 

Devo lottare con il sonno e nella speranza di vincere, tengo gli occhi sgranati. E mentre rimango così, imbambolata, noto che Monsieur Manet si è voltato verso di me. Che mi voglia inserire nel suo quadro? 
Devo far finta di non essermene accorta, anche se adesso mi sta decisamente scrutando. Si rimette a disegnare. Devo continuare ad essere molto professionale. Se in questo momento mi sta ritraendo, devo assumere un’espressione seria e compita. Ecco, finalmente, posa la matita.
Ripone il quadernetto, si rimette il cilindro e si riavvicina al banco.
«Come desiderate, Monsieur Manet. Posso venire nel vostro studio domani mattina. Fortunatamente ho il turno di pomeriggio. Come volete. Verrò indossando già la divisa da lavoro.» 

Ho risposto senza pensare alle conseguenze.
«Come dice?... Farò del mio meglio. Cercherò di ricordare l’espressione che ho questa sera». 

Stanca e impassibile, con gli occhi vacui ricorderò che stavo sognando di riposarmi penzolando a mezz’aria come la trapezista dalle scarpette verdi.

Édouard Manet (1832 - 1883), Bar delle Folies-Bergère, 1882
Link all'opera The Courtauld Institute Of Art - London

Commenti